La comunicazione efficace

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26.7.2024

Nell’ambito della formazione in Craniosacrale biodinamica, il tema della comunicazione efficace viene sviluppato coniugando le istanze proprie della materia con il contesto didattico nel quale viene introdotto. La selezione degli argomenti e la loro disposizione rispondono, dunque, oltre che alle esigenze di coerenza interna e completezza, ai bisogni formativi connessi ad un corso di craniosacrale.

Nell’arco dei 10 seminari del corso, vengono approfonditi mediante lezioni frontali, esercitazioni individuali, a coppie o di gruppo, i seguenti 10 aspetti fondamentali mutuati dagli insegnamenti di Counseling esperienziale. 

1) Neutralità e presenza:  il non giudizio,  il qui e ora. E' impossibile non comunicare e la comunicazione è sempre multidirezionale, quanto meno bidirezionale, all’interno del contesto di un trattamento. Nella disciplina cranio-sacrale, come, peraltro, nell’esistenza quotidiana, occorre radicare se stessi nel momento e nel contesto presente, lasciando ai margini i perturbamenti connessi al proprio vissuto e alle proprie aspettative e non si può tralasciare di aprirsi all’interlocutore, al cliente, sospendendo i propri giudizi su di lui, sulla sua storia, sulle sue scelte, oltreché su se stessi.

2) Empatia e simbiosi: distanza ottimale e negoziazione. Sentire l’altro non significa divenire tutt’uno con lui. Aprirsi a tutto ciò che il sistema del cliente presenta non deve impedire di mantenere chiara la certezza di sé, la giusta distanza; l’efficacia di un operatore, e più in generale, l’efficacia di un interlocutore attento all’altro, poggia necessariamente sull’individuazione di questa doppia istanza: piena apertura nel sentire e nell’accogliere, da un lato, ma anche riconoscimento delle distinzioni fra sé e l’altro, assunzione della propria responsabilità personale e, in ambito professionale, del proprio ruolo specifico in un trattamento, ma contemporaneamente riconoscimento della responsabilità dell’altro per quanto attiene la sua vita. Da qui si può avviare una comunicazione attiva che metta al centro bisogni reali presentati attraverso richieste, abbandonando schemi teorici o giochi di ruolo che rischierebbero di sfociare in imposizioni e pretese.

3) La risorsa: liberare energia. Troppo frequentemente si crede che il nucleo di un lavoro su di sé consista nell’individuazione delle criticità e nella digestione dei dolori ad esse connessi. Questo, naturalmente, in certa misura, rimane vero. Ma affinché una persona abbia la forza e la libertà di occuparsi di sé anche nelle sfaccettature più impegnative dell’esistenza, occorre poter fare ricorso a tutta l’energia disponibile. Peraltro è centrale la possibilità di disidentificarsi dai propri problemi e dai propri dolori. Questo è possibile purché si tenga sempre aperta la propria consapevolezza all’interezza del quadro, e non ci si precludano tutti gli aspetti legati al successo, al piacere, al benessere che, nella storia di ognuno, magari in misura diversa, sono sempre presenti: il benessere si può imparare proprio ricordandone l’esperienza.

4) Coerenza e congruenza: dal “dover essere” all’essere”. Quanto può pesare nel bilancio di un’esistenza la fedeltà ad una decisione, ad una presa di posizione, quando tale scelta non incarna la propria essenza? Il nostro benessere non può fondarsi su azioni guidate da convinzioni mentali quando queste non tengano conto della realtà interiore e dei bisogni che viviamo. Cambiare le nostre idee e rinunciare a difenderle quando non ci rappresentano più è, più che un lusso, un’esigenza imprescindibile se si riconosce che il proprio benessere non può rinunciare alla fedeltà a se stessi.

5) Scaricare le attivazioni: come affrontare un momento difficile in un trattamento. Un cliente che vive un difficile momento con segnali del corpo ed emozioni fuori controllo, oltre ad agganciarsi a una sofferenza che rischia di non aiutare la digestione di un processo, apre ad uno scenario di preoccupazione, di paura, di frustrazione nell’operatore, che potrebbe perdere fiducia in sé, nel cliente e nel lavoro. Come gestire momenti di questa natura? Quando lasciare semplicemente che il processo si compia? E quando intervenire? Come maneggiare le proprie risonanze e le preoccupazioni derivanti da espressioni di disagio intense e prolungate?

6) Il rispecchiamento: individuare parole chiave e gesti significativi. Solo se si è veramente attenti alle dinamiche ed ai dettagli che mettono in luce le specificità di un processo è realmente possibile sostenere chi lo sta vivendo. Spesso non sono le parole di superficie e nemmeno le manifestazioni emotive più clamorose a dare il senso profondo di una dinamica. Riconoscere ciò che un sistema esprime ad un basso livello di consapevolezza e restituirlo, rispecchiarlo, amplificandone il segnale, può rendere visibile a chi vive una condizione di sofferenza quel nodo che, una volta smascherato, può più facilmente essere sgarbugliato.

7) Metafore e auto-narrazioni: il potere del linguaggio. La realtà è, almeno nella coscienza, solo parzialmente rispondente a dati oggettivi: essa risponde, piuttosto, ad istanze linguistiche e immaginative. La relazione con il nostro o con l’altrui sistema è dunque profondamente segnata dalle immagini, dalle autonarrazioni, dalle metafore attraverso cui un segnale del corpo, un organo, un’esperienza vengono definiti. Divenire consapevoli delle proprie ricostruzioni di realtà, offre la possibilità di comprendere il proprio reale rapporto con sé e con il mondo e di sperimentarne innumerevoli varianti indagando territori cognitivi ed emotivi fertili e non di rado inesplorati.

8) Le nostre convinzioni: liberarsi dagli autocondizionamenti. Non sempre sentiamo ciò che effettivamente c’è, ma può succedere che ci abituiamo a riconoscere o a produrre quanto pensiamo si dovrebbe sentire. Riconoscere la portata e la forza delle nostre idee su noi stessi, sull’altro e sulla realtà, permette di sospenderne la portata interpretativa concedendo invece lo spazio necessario a percepire quello che veramente c’è. Tale è la condizione per alimentare la consapevolezza, condizione per ogni processo di crescita personale.

9) Le domande utili e quelle depistanti: sensazioni, emozioni, immagini mentali, libere associazioni. Come aiutare un interlocutore, un cliente attraverso la parola? Punto focale è quello di mantenere su di lui e sui suoi processi la focalizzazione della nostra attenzione, senza lasciarsi catturare dal proprio vissuto, dalla propria storia sempre pronta ad affacciarsi alla coscienza con le sue istanze. Le domande utili all’interlocutore sono quelle che lo invitano ad ascoltarsi, a prendere atto di ciò che avviene nel suo sistema, ai diversi livelli, lasciando sullo sfondo le ricostruzioni mentali e sospendendo le umane curiosità dell’operatore.

10) La fiducia: le condizioni della relazione. Come pensare che una relazione possa decollare al di fuori di un rapporto di fiducia profonda? Fiducia verso noi stessi che abbiamo offerto la nostra disponibilità in una relazione d’aiuto; fiducia nelle risorse del sistema cui ci rivolgiamo, nella capacità sua propria e dell’universo di autoregolarsi; fiducia verso le strategie di digestione delle esperienze tossiche; fiducia nel “lavoro che fa il lavoro”.

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